Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/283

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cuno poteva, comprimendo gli intesimi, trarne l’umore, e rispostogli del no, essersi egli stesso posto al sole e ordinato a’ ragazzi che lo impiastrassero di fimo; e che persistendo poi a quel modo, morisse il secondo giorno e fosse sepolto in piazza. Ma Neante ciziceno afferma, che non avendo egli potuto strapparsi di dosso il fimo, rimasto così, e per quella trasformazione non conosciuto, fu lacerato da’ cani.

IV. Era costui, da fanciullo, maraviglioso; poichè, giovine andava ripetendo di non saper nulla, e fatto adulto, di tutto conoscere. Non fu scolare di nessuno, ma diceva, aver sè stesso investigato e da sè stesso apparato ogni cosa. Per altro racconta Sozione affermare un tale di’ egli aveva udito Senofane; e narrare Aristone, nel libro Di Eraclito, ch’egli era guarito dall’idropisia e morto d’altro male. Questo dice anche Ippoboto.

V. L’opera che di lui ci rimane è, per verità, nel complesso, intorno alla natura, ma si divide in tre trattati, uno sull’universo, uno politico ed uno teologico. Ei la depose nel sacrato di Diana, come dicono alcuni, affettando nello scrivere la maggiore oscurità, affinchè vi si potessero accostare i dotti e di leggieri non lo spregiasse il volgare. Questo espresse Timone dicendo:

     Tra questi surse Eraclito del volgo
     Oltraggiatore, stridulo qual gallo,
     Raccontator d’enigmi.


Narra Teofrasto che per umore melanconico alcune cose