Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/320

Da Wikisource.
298 capo xi

chi il biasimava, com’era al tutto difficile spogliarsi l’uomo; e che si dovea combattere al possibile coll’opere contro le cose, se no, col discorso almeno. — Narrasi che per un’ulcere usò e rimedj putrefacienti e tagli e l’applicazione del fuoco, ma che neppure contrasse le ciglia. Questa sua disposizione ne fa conoscere anche Timone, ne’ suoi discorsi A Pitone. E l’ateniese Filone, ch’era amico suo, scrive, come particolarmente e’ facea ricordanza di Democrito, e poscia anche d’Omero, ammirandolo e del continuo ripetendo:

    Qual delle frondi tal dell’uom la razza.


E che assomigliava gli uomini alle vespe, alle mosche e agli uccelli; e che citava questi versi ancora:

    Or muori anche tu, amico; a che sospiri
    Così? Morìa Patroclo ancor che tanto
    Fosse di te migliore.


E quant’altri Omero ne dirige continuamente all’incostanza insieme e vacuità e fanciullaggine degli uomini. Anche Posidonio racconta intorno a lui qualche cosa di simile a questo: Spaventati dalla burrasca alcuni che navigavano seco, egli tranquillamente ne riconfortò lo spirito, facendo osservare nella nave un porcelletto che mangiava, e dicendo, che il sapiente doveva ridursi ad una sì fatta imperturbabilità. — Il solo Numenio afferma che avesse dommi proprii.

VII. Pirrone ebbe, fra gli altri, alcuni celebrali di-