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Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/338

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CAPO XII.


Timone.


I. Il nostro Apollonide niceo, nel primo Dei commentari sui Silli, ch’e’ dedica a Tiberio Cesare, dice che Timone ebbe a padre un Timarco, e fu di razza fliasio; che abbandonato da giovine si applicò al ballo, che in seguito spregiandolo se ne andò a Megara presso Stilpone; che seco convisse, e tornato di nuovo a casa, si maritò che dopo, colla moglie, si recò in Elide da Pirrone, e che dimorò con lui finchè gli nacquero figli, il maggiore dei quali appellò Xanto, e istruì nella medicina, e lasciò successore della sua maniera di vivere. — Era, al dire di Sozione, nell’undecimo, assai celebrato per eloquenza; ciò non pertanto mancando di vitto, s’imbarcò per l’Ellesponto e la Propontide; e in Calcedonia si meritò gran lode esercitandovi l’arte del sofista. Di colà, avendo guadagnato, veleggiò alla volta d’Atene, e quivi anche dimorò sino alla morte, facendo per breve tempo alcuna gita a Tebe. — Fu conosciuto da re Antigono e da Tolomeo Filadelfo, com’egli attesta di sè, negli jambi.

II. Afferma Antigono, ch’egli era amico del bere e che occupavasi di cose aliene dalla filosofia; poichè e’ compose poemi, anche epici, e tragedie e satiri e drammi comici trenta e tragici sessanta e silli e ciuedi. E di esso