Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/379

Da Wikisource.
356 epicuro.

e molte più intorno alla vita; ed essere stato il suo corpo meschinamente costituito, talchè per molt’anni non potè alzarsi dalla seggiola; e spendere nella mensa una mina al giorno, com’egli scrive in quella sua lettera alla Leonzio, ed in quella ai filosofi di Mitilene; ed egli e Metrodoro aver praticato eziandio con altre cortigiane, la Marmario e la Edia e la Erozio e la Nicidio.

IV. E, proseguono, ne’ trentasette libri Della natura, scrivere per lo più le stesse cose, e per lo più confutarvi tra gli altri Nausifane, e a parola a parola dire così: Ma, se alcuno mai, ebbe pur esso, partorendo dalla bocca, la sofistica jattanza a guisa di molt’altri schiavi. E lo stesso Epicuro, nelle Epistole, dire: Tali cose lo aveano sì fattamente tratto fuor di sè, da ingiuriarmi e appellarsi maestro. E lo chiamava polmone e ignorante e truffatore e bardassa; e i seguaci di Platone adulatori di Dionisio; e lo stesso Platone aureo; e Aristotele dissipatore, che distrutta la paterna sostanza, militò e fece lo speziale; e Protagora zanaiuolo e scrivano di Democrito e maestro di scuola ne’ villaggi; ed Eraclito guastamestieri; e Democrito Lerocrito (giudice di futilità), e Antidoro Senidoro (piaggiatore); e i Cinici nemici alla Grecia, e i Dialettici molto invidiosi, e Pirrone ignorante ed ineducato.

V. Ma costoro sono pazzi; poichè v’ha testimoni bastanti della probità senza pari di un tant’uomo in ogni cosa, e la patria che l’onorò con immagini di bronzo, e gli amici, la cui moltitudine era tale che le città intere non poteano capirli; e i discepoli tutti che furono ritenuti dalle sirene de’ suoi dommi, fuor Metro-