Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/378

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epicuro. 355

Timocrate ed Erodoto, nel libro Della gioventù di Epicuro, non essere stato legittimamente cittadino; e in modo turpe avere adulato Mitra, intendente di Lisimaco, appellandolo nelle sue lettere Peana e re; e anche Idomeneo ed Erodoto e Timocrate, coloro che resero chiari i suoi secreti, per ciò stesso encomiato e adulato; e scritto nelle lettere alla Leonzio: Peana, re, cara Leonzietta, di che rumorosi applausi fummo ripieni quando leggemmo la tua letterina! E alla Temista, donna di Leonteo: Tale mi sono io, se voi non veniste da me, da precipitarmi io stesso rotoloni dove mi chiamaste voi e la Temista; a Pitocle poi, giovinetto fiorente: Siederò, aspettando il tuo amabile e divino ingresso; e un’altra volta scrivendo alla Temista, secondo che dice Teodoro, nel quarto Contro Epicuro, avere stabilito di giacersi con lei; e a molte altre cortigiane avere scritto, e massime alla Leonzio, la quale era amata anche da Metrodoro; e nel libro Dei fini essersi espresso così: Non v’è cosa ch’io possa concepire come bene, se tolgo di mezzo i piaceri che si hanno per via dei sapori, se tolgo que’ che per le cose veneree, e per quelle che si odono, e per via della forma; e in una lettera a Pitocle avere scritto: Fuggi, o beato, ogni disciplina. E osceno parlatore lo chiama Epitteto, e assai lo infama. E anche Timocrale, fratello di Metrodoro, e suo discepolo, abbandonata la scuola, dice ne’ suoi libri intitolati Ricreamenti, che per crapula vomitava due volte al giorno, e racconta sè avere a stento potuto fuggire quelle notturne filosofie e quella mistica riunione. Ed Epicuro aver molte cose ignorate intorno al discorso,