Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/38

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26 capo ii

— Interrogato di che specie cane egli fosse, rispose: Affamato, maltese; pasciuto, molosso, di quelli che la maggior parte degli uomini lodano, ma non s’attentano, per la fatica, di uscir con loro a caccia. Allo stesso modo neppur voi potete vivere con me per tema dei dolori. — Domandato se i sapienti mangiano focaccia; Di tutto, disse, come gli altri uomini. — Domandato perchè a’ mendicanti sì desse e ai filosofi no, rispose: Perchè ognuno s’aspetta bensì di diventare e zoppo e cieco, ma filosofo non mai. — Chiedeva ad un avaro, e quello andava per le lunghe; Galantuomo, dissegli, ti chiedo pel vitto, non pel sepolcro. — Un dì gli rinfacciavano di essere stato monetario, disse: Fu già quel tempo ch’io era tale, quale tu se’ adesso; ma quale io sono ora, tu non sarai mai. — E ad un altro che della stessa cosa gli facea rimprovero: Prima anche io mi pisciava addosso, ed ora no. — Venuto a Mindo e viste grandi le porte, e piccola la città, Signori Mindii, disse, chiudete le porte onde la vostra città non esca. — Vedendo una volta un ladro di porpore preso sul fatto, disse:

                — La morte
     Purpurea il prese e l’indomabil Parca.


— Richiestolo Cratero che andasse da lui, rispose: Ma io voglio più presto leccare il sale in Atene, che godere una mensa sontuosa presso Cratero. — Accostandosi all’oratore Anassimene, ch’era assai grasso, Fa, disse, di partecipare anche a noi poveretti della tua