Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/413

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386 epicuro.

che accadano in molte maniere, come se vedessimo che in qualche modo così fosse, saremo senza perturbazione. Dopo tutto ciò debbesi riconoscere che la perturbazione principalissima all’anime umane nasce dal credere queste cose e beate e incorruttibili, e dall’aver esse insieme opposte le volontà e le azioni e le cause, e dall’esservi nell’eternità, secondo le favole, un qualche male da aspettare o da sospettare, paventando quella privazione di senso ch’è nel morire, come essente per esse, e dal soggiacere a queste cose senza opinioni, ma per non so quale irragionevole induzione: onde non determinandosi quel male, se ne piglia eguale od anche più gran timore, come se quelle ancora si opinassero. Questa tranquillità poi sa consiste nell’essere sciolti da tutte quelle, e nell’avere continua memoria delle universali e più assentite. Quindi bisogna giovarsi di tutte le cose che sono presenti e dei sensi, in comune colle comuni, in particolare colle particolari, e con ogni attuale evidenza secondo i singoli criterj. Poichè se a questo agguarderemo, ciò, donde il turbamento ed il timore nasceva, con retto discorso rinverremo e dissiperemo, ragionando le cagioni e delle cose celesti e delle restanti che del continuo avvengono, e spaventano sommamente gli altri uomini. — Queste cose sulla natura dell'universo abbiamo per te, o Erodoto, ristrette in sommissimi capi, di maniera che se questo discorso acquisti forza imparato esattamente a memoria, penso, quando pure taluno non ne avesse con diligenza percorsa ogni parte, ch’egli, per la forza procacciatasi,