Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/416

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epicuro. 389

nientemente abbandoni quello che su di esse con probabilità si discorre. Che se alcuno questo ommetta, rigetti quello per esservi ciò del pari alla cosa apparente, è chiaro che scade da ogni cognizione della natura, e trascorre nella favola. Alcuni segni di ciò che si compie in cielo debbonsi produrre da alcune di quelle cose che ci appaiono, le quali si vedono o sono, e non da quelle che si osservano in cielo: poichè non è possibile che facciansi in diversi modi. Nondimeno ciascun fantasma va osservato e diviso in quelle cose che sono in esso congiunte, le quali non provano che in diversi modi non si compia quello che avviene presso di noi. — Il mondo è una estensione di cielo contenente e gli astri e tutte le cose che si vedono, diviso dall’infinito e terminante in un’estremità, sia rada, sia densa, o in ciò che gli s’aggira d’intorno, o in ciò ch’è stabile, ed ha rotonda o triangolare o qual si voglia altra circoscrizione, essendo possibile di ogni maniera; poichè nessuna delle cose che si vedono è in contradizione con questo mondo, in cui non è comprensibile un limite, e sciolto il quale, tutte le cose che sono in esso saranno prese da confusione. Che poi questi mondi ancora sieno infiniti, s’ha da congetturare al gran numero, e che un tal mondo possa farsi e nel mondo e nell’intermondio, che intervallo diciamo tra mondi, in un luogo molto vuoto e non in un grande, puro e non vuoto, siccome taluni affermano, da certi idonei semi discorrenti da un mondo solo, o intermondio, od anche da più, a poco a poco, apposizioni e composizioni e migrazioni fa-