Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/428

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epicuro. 401

nano alcuna necessità onde si effettui l’inverno, nè è costituita una natura divina che sorvegli l’uscita di questi animali, e che dopo produca questi segni. Chè in qual si voglia animale, per poco ch’e’ fosse meglio privilegiato, non accadrebbe sì fatta stoltezza, non che in colui che possiede un’intera felicità. — Ora di tutte queste cose arricordati, o Pitocle, perchè e ti allontanerai di molto dalla favola, e potrai comprendere ciò che è del genere di esse. Particolarmente poi datti alla contemplazione dei principj e delle infinità e di quanto loro è affine, ed eziandio dei criteri, delle passioni e di ciò per cui motivo queste cose ragioniamo. Le quali principalmente considerate, si renderà facile conoscere le cagioni delle singole cose. Ma que’ che molto buona accoglienza non fecero a sì fatti principj, nè quest’essi convenientemente osservarono, nè si procacciarono quello per cui doveano questi osservare.“

XXVI. Così pareva ad esso intorno alle cose celesti. — Circa quelle della vita, e come noi dobbiamo fuggirne alcune, altre eleggerne, scrive in questo modo. Ma prima discorriamo ciò che del sapiente paja ad esso ed a’ suoi successori. — I danni, affermano, nascere dagli uomini o per odio o per invidia o per disprezzo, ed a questi, colla ragione, essere superiore il sapiente. Anzi chi fu sapiente una volta, non più acquistare disposizioni contrarie; nè volontariamente fingere di starsi piuttosto legato alle passioni; non potere la sapienza patire ostacolo. Per altro non da ogni abito di corpo formarsi il sapiente nè in ogni classe di persone. Ed