Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/429

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402 epicuro.

ancorchè il sapiente sia torturato, esser desso felice. Solo dovere il sapiente aver grazia cogli amici presenti al par che coi lontani. Nè quand’egli è posto al tormento nicchierà e piangerà. E il sapiente non dover mescolarsi con donne, cui le leggi interdicano, siccome scrive Diogene, nel Sunto dei dommi morali d’Epicuro; e dover bensì castigare i servi, ma aver pietà e indulgenza ad alcuno dei più diligenti. Credono non dover il sapiente nè innamorarsi, nè darsi pensiero della tomba: non essere l’amore insito da dio, secondo che scrive Diogene, nel dodicesimo: non convenire l’eccessivo esercizio dell’arte oratoria. Il coito, dicono, non mai giovò, ed è fortuna s’ anco non nocque. Secondo Epicuro, ne’ Dubbj e nel libro Della Natura, non dovrà il sapiente, nè ammogliarsi, nè procreare figliuoli; talvolta però, in qualche circostanza della vita, e’ s’accosterà alle nozze e ne rimoverà taluni. Nè poi, come dice Epicuro, nel Banchetto, farà osservazioni nell’ubbriachezza, nè, come dice nel primo Delle vite, amministrerà la repubblica, nè diverrà tiranno: nè seguirà, come dice nel secondo delle medesime, i Cinici, nè andrà mendicando: che anzi, come scrive nello stesso, anche privo degli occhi parteciperà alle cose della vita. Il sapiente, secondo che afferma Diogene, nel quinto delle Opere scelte, potrà anche attristarsi, e comparire in giudizio, e lasciar opere dopo di sè, ma non accorrere a solennità; e si darà pensiero di beni e dell’avvenire. Amerà i campi, e affronterà la fortuna, e a nessun amico sarà molesto. Tanto dovrà prendersi briga della buona riputazione, quanto basti per non essere dispregiato.