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Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/432

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epicuro. 405

bene ed il male sta ne’ sensi, e privazione di sensi è la morte. Onde la giusta nozione che per noi è nulla la morte, rende gioconda la condizione mortale della vita, non aggiugnendo tempo infinito, anzi togliendo il desiderio dell’immortalità. Nessun male avvi adunque nel vivere per chi veracemente comprende non essere male nel non vivere. Talchè stolto è colui che afferma temer la morte, non perchè lo attristi presente, ma perchè lo attrista futura; poichè ciò che non turba presente, invano attrista aspettato. La morte quindi, acerbissimo dei mali, non è nulla per noi, poichè quando siamo, la morte non è presente, quando sia la morte presente, allora non siamo. E però non si trova nè con chi vive nè con chi ha finito, non essendo presso di quello, e non esistendo più questo. Tuttavolta il volgare or fugge la morte, come il grandissimo dei mali, ora la brama come una cessazione di que’ che sono nella vita. Non lo spaventa dunque il non vivere, non essendo il vivere in sua mano, nè stima un male il non vivere. A quel modo però che non sceglie assolutamente il molto cibo, ma il soavissimo, così e’ fruisce non il tempo lunghissimo, ma il soavissimo. Ma quegli che esorta il giovine a viver bene, e il vecchio a ben finire, sciocco è non solo per l’amor della vita, ma anche per essere una stessa la meditazione del ben vivere e del ben morire. Ed eziandio molto peggiore è chi dice: Bello è non esser nato,

Ma nato trapassar quanto più presto
Dell’Averno le soglie.