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ne, nel diciassettesimo delle Opere scelte, e Metrodoro nel Timocrate, dicono così: Piacere s’intende e quello che è per moto e quello che per quiete. Epicuro poi, nel libro Intorno le cose da eleggersi, si esprime in questo modo: La tranquillità dell’anima e il riposo sono piaceri costanti, ma la gioia e l’allegrezza si vedono nell’azione del moto.

XXIX. Egli differisce ancora da’ Cirenaici, perchè questi i dolori del corpo stimano peggiori di que’ dell’anima, castigandosi i delinquenti nel corpo; e desso que’ dell’anima. Quindi il solo presente tormentare la carne, ma l’anima e il passato e il presente e il futuro. Per questa ragione dunque anche maggiori essere i piaceri dell’anima. E che sia fine il piacere usa per argomento, che gli animali, in un col nascere, di questo si compiacciono, ma naturalmente s’irritano contro al dolore anche senza ragione. Noi dunque, per un interno senso, fuggiamo il dolore, siccome fa Ercole, che consumato dalla camicia,

   Ringhiando grida e stride; e le pendici
   Ne gemono dintorno, e le montane
   Cime locresi, e i colli dell’Eubea.


XXX. Anco le virtù, non per sè stesse, ma a cagion del piacere, come la medicina per la salute, si denno eleggere, secondo che afferma Diogene, nel ventesimo Delle scelte, il quale chiama la virtù un divertimento. Ma Epicuro dice esser anche inseparabile dal piacere la sola virtù, e separabili l’altre cose, perchè mortali. — Orsù poniamo adesso il suggello, come direbbe taluno,