Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/438

Da Wikisource.

epicuro. 411

di tutti gli scritti e della vita del filosofo, aggiugnendo le sue principali sentenze, e con queste conchiudasi tutta l’opera, usando di un fine che sia cominciamento alla felicità.

I. Chi è beato e immortale nè ha per sè, nè procura ad altri faccende, onde non ire, non favori lo allacciano, chè tutte queste cose produce la debolezza. — In altri luoghi dice che gli dei sono comprensibili per raziocinio, alcuni esistendo come numero, alcuni per una eguaglianza di forma, ch’esce dal continuo efflusso delle immagini simili, effettuantisi per ciò stesso in figura umana.

II. La morte nulla per noi; poichè ciò che fu disciolto è privo di senso, e ciò ch’è privo di senso è nulla per noi.

III. Limite alla grandezza del piacere è la sottrazione del dolore. In qualunque luogo si trovi quel che diletta, per quanto e’ dura, non v’ha cosa che dolga, o cosa che attristi, o entrambe unite.

IV. Non dura continuamente in un corpo il dolore; ma il sommo vi rimane per brevissimo tempo; e quello che solo vince i diletti del corpo non ha luogo per molti giorni. Nelle malattie per altro che durano assai tempo sovrabbonda più ciò che diletta il corpo, che ciò che lo addolora.

V. Non si può vivere lietamente senza vivere prudentemente, onestamente e giustamente; nè prudentemente, onestamente e giustamente, senza vivere lietamente. Per coloro adunque cui non riesca vivere prudentemente, onestamente e giustamente, questo vivere lieto non esiste.