Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/50

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I L P R I M O L I B R O

ra mi accadera di gir piu alla corte di Francia, lodato Iddio, che non vedro il sgarbato vestir di quella ricca corte da mal concertati colori distinto, non vedro piu un numero infinito de paggi si unti et bisunti, che ciascun di loro, condir potrebbe il calderone d'alto pascio, non mi vedro (anchor che sentir lo possa) urtar ad ogni passo, da si gran carovana de cuochi, guatteri, carettieri et vetturali, et se svolgero i miei pensieri) si come solito era di fare, pria che mi accecassi al visitar l'Italia, non vedro in Lombardia per difetto delle lor divise voglie, tanti belli edifitii dirupati, et tante amene ville distrutte, non vedro il goloso et lussurioso Milanese, non l'avaro Pavese, non il litigioso Piacentino, non il bizarro Parmegiano, non il bestemiator Cremonese, non l'ocioso Mantovano, non l'orgoglioso Ferrarese, non vedrò il cicalon Fiorentino, non vedro il bugiardo et simulator Bolognese, non l'usurario di Genova, non e' capi sventati di Modena, non il superbo Luchese, et dissemi piu volte prima che terminasse l'incomminciato ragionamento, che hora gli pareva d'esser troppo aventuroso poi che ritrovandosi l'anno passato in Roma non vidde piu la faccia d'infinite meretrici che a'guisa de Reine triunfano del pretioso sangue di Giesu, ne vidde a' Napoli le gran squadre de marani, le innumerabili torme de ruffiani, non uidde una infinita copia de boriosi cavaglieri che tutto il gior