Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/51

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D E P A R A D O S S I, 22

no a' guisa de fottiventi con gran stratio di chi li segue vanno su et giu con la bachetina in mano, non vidde in Sicilia que mangia catenacci che per ogni picciola cosa contrafanno il viso di Marte quando egli è piu forte adirato, ne tante donne in viso mirò disposte per picciolo pretio a' far altrui di se stesse intiera copia, che piu parole? si dolcemente mi favellò il buon Ceco, che mi fece venir voglia di accecare, essendomi ispesso di mala maniera anch'io conturbato per vedere in Vinegia nuvoli de mariuoli, in effetto credami chi è saggio, che l'è dolor senza paragone a'veder in viso l'indiscreto Padovano, il bestial Vicentino, il licentioso Trivigiano, il furioso Veronese, il tenace Bresciano, et l'inhumano Bergamasco. Veramente egli è di necessita che l'illuminato vega infinite cose da far per istomacaggine uscir le pietre de muri. Mi ramento haver letto che incontrandosi a' caso un santo huomo novellamente accecato con Arrio principe de eretici, duolsesi della sopragiunta cecita, a cui il sant'huomo rispose, non accade Arrio che tene doglia et incresca ringratiandone io di buon cuore Iddio, poscia che fatto ceco, piu non ti veggio Eretico perfido et disleale, sono per certo gli occhi nostri troppo male bestie, per la qual cosa narra Giobbe d'haver fatto co suoi occhi patto, che d'una sol donna contenti a' niuna altra pensassero, et il Profeta grandimenti si duole che gli occhi l'anima