Pagina:Laude (Roma 1910).djvu/38

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16 JACOPONE DA TODI

Frate, ciò che tu me dice,       te ne uoglo amor portare;
     che fai co fan i bon amice       che de l’amico uol pensare;
     ma ho fameglia gouernare       che ne so molto embrigato.
Se tu regge la fameglia,       non la regger de l’altroi;8
     al poder tuo t’arsomeglia,       quegne spese far ne poi;
     non morir pro i figliol toi;       cha poco n’èi regratiato.
Frate, se l’altrui sì rendo,       giran li me’ figli mendicati;
     nol posso far, tutto m’accendo       de lassargli desolati;12
     da i uicin serìan chiamati       figli di quel desprezato.
Frate, or pensa la sconficta       che non aspecta el pate e l figlio;
     & sì piglia la uia ritta       da mucciar da quel empiglio;
     & quel ch’aspecta en quel piglio       el figlo e l pate è poi legato.16
Frate, auuto agio en usanza       ben uestir & ben calzare;
     non porrìa soffrir uilanza       en questa guisa desprezare;
     farìame a deto mostrare:       ecco l’uomo mal guidato.
Testo a l’amo s’arsimiglia       cha de for ha lo dolzore,20
     et lo pesce, poi che l piglia,       sentene poco sapore;
     dentro troua un amarore       che gli è molto entossecato.
Non porrìa degiun suffrire       per la mia debeletate;
     mename a lo morire       le cocin mal frumiate;24
     & sì per mia necessitate       uoglio ciò che son usato.
Frate, or pensa le pregiune:       regi et conti ce son stati
     & donzelli più che tune       en tal fame s’on trouati,
     che i calzar s’on manecati;       con que loto ci on trescato!28
Non porrìa ueghiar la nocte       et star ricto en oratione;
     parme cosa tanto forte       de metterme a derentione;4
     ché, se ueghio per stagione,       tutto l dì ne uo agirlato.
Or pensa gli encastellati       co so attenti al ueghiare!32
     che da for so assediati       da chi lor sì uol pigliare;
     tutta nocte sto a gridare,       ché l castel non sia robbato.
Frate, sì m’ài sbagutito       con lo tuo bon parlamento,
     che nel cor sì so ferito       d’un diuin accendimento;36
     pigliar uoglio pensamento       ch’io non sia più engannato.
Gir ne uoglio a lo patrino       ad accusar la mia matteza;
     meglio m’è esser pelegrino       che d’auer questa riccheza,
     la qual me mena a la dureza       de quel fuoco acalurato.40


Como Dio induce el peccatore a penitenza.          .x.


     PEccator chi t’à fidato       che de me non hai temenza?
Non consider, peccatore,       ch’io te posso nabissare?
     & hai facto tal fallore       ch’io sì l’ò cagion de fare;
     t’ò uoluto comportare       perché tornasse a penetenza.4