Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/176

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168 novelle indiane di visnusarma

mia fanciullezza in poi ho passato ottant’anni a pigliare uccelli e non ho mai visto dell’oro nello sterco di alcuno! — Così pensando, tese il laccio intorno a quell’albero, e quell’uccello, per sua sciocchezza e per fidarsi troppo, s’andò a posar come prima sull’albero. Restò sùbito preso al laccio perchè il cacciatore, scioltolo da que’ nodi e postolo in una gabbia s’incamminò verso casa. Allora si mise a pensare: Che farò io di quest’uccello pericoloso? Se qualcuno viene a sapere come egli è e quale è lo farà sapere al re, c’è pericolo per la mia vita, lo stesso adunque lo mostrerò al re. Così avendo divisato, così anche fece, e il re quando vide l’uccello, con gli occhi sorridenti come un fior di loto dischiuso venne in grandissima allegrezza e disse: Ohè guardie! Custodite con cura questo uccello e dategli da mangiare e da bere e ogn’altra cosa a sua voglia! — Mai ministii dissero: Che s’ha da fare di quest’uccello accolto soltanto pei aver dalo fede alle parole di tale a cui non si può credere, d’un cacciatore ì Quando mai s’è trovato dell’oro nello sterco degli uccelli? Si liberi omai dalla prigionia della gabbia! — L’uccello allora, liberato dal re per i discorsi dei ministri, come fu volato al sommo dell’arco della porta mandò fuori copia di sterco tutta d’oro, indi, mormorando quei versilo da principio fui lo sciocco — , a tutto suo piacere se ne volò via per l’aria. Perciò io dico:


Io da principio fui lo sciocco e poi
Chi al nodo del suo laccio mi prendea;

Il re, con tutti li ministri suoi
Ampia formò di sciocchi un’assemblea. —


Ma quelli ancora per l’avversità della sorte, non badando alle parole di Ractacsa quantunque fossero a proposito, anche più alimentarono Stiragivin con diveise pietanze di carni copiose, perchè Ractacsa, convocata in segreto la sua gente, disse: Ecco tale è la sorte di nostro signore e a tal punto è la sua fortezza, lo però gli ho consigliato ciò che gli deve dire un ministro affezionato alla famiglia di lui. Noi intanto andremo ad un’altra fortezza sul monte. Perchè è stato detto:


Chi pensando alla sventura
Che non anche capitò,
Opra e fa, della sua cura
Lieto sempre si restò;
Ma sè stesso piange poi
Chi, per ciò che venir de’,


Non pensava a’ casi suoi.
Perchè al bosco, qui, abitassi,
Io son giunto ai vecchi dì,
Ma non mai per me s’udì
Che uno speco favellassi. —


Quelli dissero: Come ciò? — E Ractacsa incominciò a raccontare:

Racconto. — Abitava una volta in un paese selvoso un leone di nome Caranacara. Un giorno egli, dopo essersi aggirato qua e là tormentato dalla fame, non s incontrò in alcun animale. Nell’ora del tramonto, essendo giunto presso una grande spelonca della montagna, v’entrò e si mise a pensare: Certamente qualche animale deve venir di notte in questa spelonca. Qui adunque io starò tenendomi nascosto. — Intanto, capitò là uno sciacallo di nome Dadipuccia che era il signore della spelonca. Guardò