Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/175

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libro terzo 167

i quali a forza bucano il corpo mio. — Chiamato allora un topo, l’eremita lo mostrò alla fanciulla, dicendo: Figlia mia, io ti darò a costui. Ti piace il re dei topi? — E la fanciulla, quando l’ebbe guardato, pensando fra sè: Costui è della mia natura! — , coi peli del corpo arricciati per la gioia, rispose: O padre mio, fammi diventar una topina e dammi a costui perchè io attenda agli uffici di casa secondo la natura mia. — Egli allora, con la virtù della sua penitenza, la ritornò allo stato di topina e la diede al topo. Perciò io dico:


D’aver lasciando il sol per suo marito,
Il vento, il monte, il nugolo, ritorno

La topina fe’ a’ suoi, chè il proprio sangue
Difficilmente puote esser tradito. —


Ma quelli, non badando punto alla parola di Ractacsa, per la rovina della loro stirpe menarono Stiragivin nella loro fortezza. Intanto che lo menavano, egli, ridendo fra sè, pensava:


Quei che disse, parlando al suo signore
Util consiglio: «Uccidasi costui!»,

Solo fra tutti di vita il tenore
Conosce e il ver ne’ pensamenti sui.


Ora, se costoro non faranno secondo il. suo consiglio, non piccolo sarà il loro danno. — Intanto, quando fu giunto alla porta della fortezza, Arimardana disse: Ohè! a questo nostro Stiragivin che ci vuol tanto bene, preparate un posto degno di lui. — Udendo cotesto, Stiragivin pensò: Io ora devo pensar qualche modo di sterminarli tutti. Ma, se io sto in mezzo a loro, non mi riuscirà, perchè essi, notando ogni mio atto, ogni mio gesto, staranno all’erta. Stando invece presso la fortezza, mettendovi attenzione potrò riuscire. — Così avendo pensato, si volse al re dei gufi: O re, è giusto ciò che è stato detto da nostro signore. Tuttavia, io so le regole della politica e sono di gente nemica, e, quantunque dato a te e leale, nou mi si conviene abitar dentro la fortezza. Perciò io, standomi qui sulla porta, ogni giorno, purificato il corpo con la polve dei piedi tuoi di loto, farò il mio servizio. — xVvendo risposto di sì, ogni giorno i ministri del re dei gufi, apprestando cose da mangiare secondo sua voglia per comando appunto del re, portavano a Stiragivin gran copia di pietanze, ond’egli in pochi giorni divenne vigoroso come un pavone. Ma Ractacsa, vedendolo così ben nutrito, sorridendo così disse un giorno ai consiglieri e al re: Oh! stolto tutto il consiglio dei ministri e stolto tu pure, o re! Così almeno la penso io. Perchè è stato detto:


Io da principio fui lo sciocco, e poi
Chi al nodo del suo laccio mi prendea;

II re, con tutti li ministri suoi,
Ampia formò di sciocchi un’assemblea. —


E quelli dissero: Come ciò: — Ractacsa incominciò a raccontare:

Racconto. — C’era una volta in un paese montuoso un grand’albero su cui abitava un certo uccello di nome Simbuca, nel cui sterco si trovava essere dell’oro. Un giorno, un cacciatore capitò da quelle parti, e l’uccello sotto gli occhi di lui vuotò il ventre. Allora, veduto che lo sterco, all’istante che cadeva, s’era fatto tutt’oro, il cacciatore meravigliato disse: Ohè! dalla