Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/76

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68 novelle indiane di visnusarma


Avendo udito tutto questo, il picchio disse: Cara mia, poichè tu mi stimi un fatalista, vedrai ciò che posso fare, perchè io col becco mio farò seccare questo furfante di mare. — La femmina del picchio disse: Oimè! a che una guerra col mare? Tu non puoi far guerra con lui. Perchè è stato detto:


Di gente debole
In proprio danno
Ritorna l’ira;
Così una pentola


Troppo scaldata
Ne’ lati suoi
Resta bruciata.

Il presuntuoso che del suo nemico
Non conosce il poter, dirittamente

A morte corre come la farfalla

Che s’affretta a perir nel fuoco ardente. —


Il picchio disse: Cara mia, non dir così. Quelli che hanno virtù di potere anche se piccoli, superano i grandi. Perchè è stato detto:


Contro a’ nemici pieni di vigore
Van drittamente gli uomini di core,

Come oggi ancor contro la luna piena
Dritto sen va Rahù1 di tutta lena.


E poi:


D’un orrido elefante
In suo vigore altero,
Di bruno umor stillante
Le gole in amor fiero,


D’acute zanne armato,
Calcar col piè la testa
Suole un leon chiomato.


E poi:


Cadon sul monte i rai
Del giovinetto sole2;
Accompagnarsi a gente


Di gran conto e possente
Anche vecchiezza suole.


E poi:


È grosso un elefante
Ed obbedisce al pungolo;
Ora, che è mai il pungolo
Appresso all’elefante?
Quando la lampa è accesa
Si fuggono le tenebre,
Or, dinanzi alle tenebre
Che è mai la lampa accesa?


Caggiono d’alto i monti
Se li colpisce il fulmine.
Ora, che è mai il fulmine,
Che è mai presso que’ monti?
Tale è forse se mai
Il valor suo dispiegasi;
Ma di chi resta immobile,
L’esito quale è mai?


Però io con questo mio becco farò seccare tutta l’acqua di lui. — La femmina disse: Caro mio, mentre il Gange, raccogliendo novecento fiumi, continuamente va scorrendo, e così fa l’Indo, come mai col tuo becco che non può contenere che una stilla d’acqua, asciugherai il mare che si riempie di ottocento correnti? A che questo tuo parlare, a cui non si può dar fede? — Il picchio disse: Cara mia.


Della felicità prima radice
È il rimanersi sempre imperturbato.

Dal becco mio di ferro, oh! come mai,


I lunghi dì e le notti lavorando,
Non sarà questo mar tutto seccato?

  1. Il mostro che tenta di afferrar la luna; simbolo degli eclissi. Vedi sopra.
  2. Cioè appena ch’è spuntato.