Pagina:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu/39

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DISCORSO PRELIMINARE




«Sennuccio e Franceschin che fur sì umani, Come ogni uom vide» eran annoverati dal Petrarca1 tra i famosi de’ quali Amore trionfava, nella bella compagnia di Dante, di Cino e de’ due Guidi. Oggi il mondo gli conosce per quel verso e per l’amicizia del poeta: pochi eruditi e cercatori di antichità citano, e radamente, lor rime.

Nè amico soltanto ma parente al Petrarca fu Franceschino degli Albizzi fiorentino; e lo conobbe famigliarmente in Avignone nel 1345. Visitò quindi la Francia, e vide Parigi. Tornato in Italia nel 48, disponevasi d’andare a Parma a trovare il glorioso congiunto che l’aspettava con gran desiderio; quando còlto in Savona dal contagio che già invadeva l’Italia, morì giovanissimo nell’aprile. Il Petrarca lo pianse con una epistola2, in cui l’affetto e ’l dolore da prima veri trascendono in ultimo nella declamazione.

«Sennuccio mio... ti prego che ’n la terza spera Guitton saluti e messer Cino e Dante, Franceschin nostro e tutta quella schiera»3, cantava un anno dopo per la morte di Sennuccio del Bene. Il quale fu certo gentilissimo spirito, se meritò dal Petrarca il sonetto ove sono gl’ineffabili versi «Qui tutta umìle e qui la vidi altera», ecc. Sennuccio di Benuccio di Senno del Bene, gentiluomo fiorentino di parte bianca, benchè più volte accogliesse e intrattenesse splendidamente in una sua villa Carlo di Valois, non campò dalla industre e crudel cupidigia del principe senza terra e senza vergogna: ma carcerato e multato in quattromila lire fu poi bandito

  1. Petrarca: Trionfo d’amore, IV.
  2. Petrarca: Epist. famil., VII, 12.
  3. Petrarca; Rime, p. II, s. 19, edizione Marsand.

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