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Il campo degli Illiati. 99

Tabriz, che conosceva la steppa a menadito, avendo vissuto molti anni al di qua ed al di là dell’Amu-Darja, conduceva ora la carovana orizzontandosi col sole, non avendo i turcomanni alcuna conoscenza della bussola, istrumento che forse non hanno mai veduto, e che d’altronde non è affatto necessario a quei nomadi, avendo l’istinto dell’orientazione al pari dei piccioni viaggiatori.

La regione, a poco a poco cominciava a diventare meno deserta. In lontananza, qualche gruppo di tende appariva; tende di forma conica, di feltro nero, perdute in mezzo alle erbe dove bande di cammelli e di montoni pascolavano in gran numero; poi su certi tratti sabbiosi qualche moschea screpolata, col suo minareto sottile, di colore bianco, spiccava fra tutto quel mare di verzura, indicando il luogo ove, chissà quante centinaia d’anni prima, una borgata e fors’anche una città popolosa era esistita.

Quelle rovine sono frequenti in certe parti della steppa, dove i vicini persiani hanno lasciato tante tracce della loro antichissima colonizzazione. Forse quello era il vero paese della terra sacra dei magi di Zoroastro, del Zend-Avesta, il paese dove Saadi e Hfar hanno poetato ed amato e dove Leilah ha sorriso.

Verso il tramonto, Tabriz, che già da qualche ora osservava attentamente il paese, come se cercasse qualche traccia, indicò a Hossein un gruppo di tende di colore oscuro, che sorgeva in una specie di oasi, dove crescevano rigogliose piante di melagrano, dalle frutta grossissime e assai stimate, outon bokhàra che producono susine eccellenti d’inverosimile grossezza, cotogni dal tronco enorme e ciliegi altissimi.

— Il campo dell’Emiro degli Illiati, — disse poi volgendosi verso Hossein, che l’interrogava cogli sguardi.

— È là che abita quel Sagasdka di cui tu mi hai parlato?

— Sì, signore.

— È un amico di mio zio?

— Un tempo hanno combattuto insieme contro i bukari ed i belucistani, — rispose Tabriz. — Se le Aquile della steppa sono passate attraverso il suo territorio, ce lo dirà subito.

— A quest’ora non si rammenterà più nemmeno il nome di Giah Aghà, — disse Abei, che aveva ripreso il suo posto in testa alla colonna. — Si dimenticano facilmente gli amici, nella steppa.

— Al contrario, signore, — rispose Tabriz, un po’ piccato. —