Pagina:Le aquile della steppa.djvu/162

Da Wikisource.
156 Capitolo primo.

— Fa oscuro come in fondo alla bocca d’un cannone, — borbottò colui che teneva la lanterna.

— Manda una benedizione alla luna perchè si mostri, tu che sei figlio d’un pope.

— Preferirei di dar fuoco a tutte queste erbe.

— E arrostire anche noi poco allegramente, è vero Olaff?

Tu non sei un cosacco e non conosci perciò la steppa; quando brucia, fa paura mio caro, ed i pozzi di petrolio di Baku, farebbero una ben meschina figura insieme coi loro serbatoi!

Ah!... Ci siamo! Uomini e cavalli! Vi è un bel gruppo di morti qui.

A cinquanta metri dal secondo burrone vi era una massa di cadaveri. Uomini e cavalli erano caduti confusamente insieme, sotto le scariche dei cacciatori del Turchestan, formando come una immensa catasta.

— Vediamo se vi è qui in mezzo qualcuno dei nostri — disse il sergente, prendendo la lanterna e proiettando la luce dinanzi a sé. — Di questi bricconi di Shagrissiabs non ci cureremo gran che e non li disputeremo ai falchi ed alle aquile, ma daremo sepoltura almeno ai camerati.

— E poi vi può essere qualche ferito da soccorrere, — disse Olaff.

Il cosacco ed i suoi compagni si cacciarono, non senza un po’ di ripugnanza, fra quei cadaveri, tirando a forza gli uomini che si trovavano sotto i cavalli.

I Sarti ed i loro camerati presentavano, anche nella morte, un aspetto fierissimo.

Tutti stringevano ancora fra le mani, rattrappite dalle ultime convulsioni dell’agonia, kangiarri, jatagan e pistole, ed avevano i lineamenti alterati dalla rabbia della lotta.

— Sono ben brutti, — diceva il sergente, chinandosi su ciascuno. — Sembrano veri briganti.

— Ma non questo, sergente! — esclamò ad un tratto un soldato che si era precipitosamente curvato su uno dei combattenti. — Farebbe una splendida figura anche fra le guardie nobili del Padre bianco (lo Tzar).

— Vediamo un po’ Mikalow. —

Il sergente spinse innanzi la lanterna ed un grido gli sfuggì:

— Oh!... Il bel giovane!...