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Il «Loutis». 203

— Aspetta che lo finisca, signore. Un colpo ancora? Prendi dunque, brutta bestia!... —

Un ringhio furioso seguì quelle parole, accompagnato da una specie di tonfo.

— È caduto! — urlò Tabriz. — Era tempo!... Che razza di bestia sarà questa? Voleva lottare con me!... Le costole le ho dure io e anche le braccia sono solide!

— Che cos’hai ucciso, Tabriz? — chiese Hossein che aveva armata la pistola.

— Non lo so davvero, signore. Accendi qualche legno, giacchè vi è ancora qualche brace. —

Hossein prese un ramo che stava per consumarsi, frugò fra i carboni non ancora spenti e quando lo ebbe acceso l’alzò, sviluppando una fiamma abbastanza luminosa.

— Tabriz, — esclamò, — questo è un orso!...

— Me n’ero accorto io, — rispose il gigante. — Voleva impegnare una vera lotta con me!... Mi aveva afferrato così strettamente che lo credetti un usbeko. Il pelame lo ha tradito.

— E tu credevi che quest’oasi fosse deserta!...

— Pare invece, signore, che sia un serraglio.

— Due once ed un orso!...

— Vediamo bene, Tabriz.

— Accosta il tizzone, signore. —


CAPITOLO VI.


Il “Loutis.„


Non si erano ingannati: l’animale che aveva cercato di sorprenderli nel sonno, era veramente un orso d’una razza speciale, che non si trova che sul continente asiatico e specialmente fra la grande catena che, dipartendosi dall’India, si spinge verso l’Afganistan e la Tartaria in lunghe direzioni.

Infatti non aveva il corpo massiccio degli orsi neri e bruni: era invece di forme svelte, col muso molto aguzzo, le orecchie rotonde e grandi, col pelame nerastro, a striature bianche sul petto e con una specie di criniera sul collo.

Quel bestione che doveva pesar non meno di duecento chilogrammi, avrebbe potuto vincere facilmente un uomo, che non a-