Pagina:Le aquile della steppa.djvu/66

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60 Capitolo settimo.

— Voi dormite, mentre i banditi assalgano la casa della vostra padrona, — disse il beg. — Questo non è il momento di tenere gli occhi chiusi e le armi appese alla parete.

— La casa della principessa attaccata! — gridarono parecchie voci.

— Tacete e non perdete tempo. Radunate più combattenti che potete e seguitemi. Daremo a quelle maledette Aquile una terribile lezione. —

Altri uomini accorrevano da tutte le parti armati di fucili, di pistole, di cangiarri e di jatagan.

Udendo che le Aquile avevano assediato la casa della loro giovane signora, si dispersero come uno stormo di passeri per tornare poco dopo coi loro cavalli di battaglia.

— Quanti siete? — chiese il beg.

— Almeno in duecento, — rispose il più anziano della truppa.

— In sella e seguitemi. Gian Agha vi conduce. —

La fama del vecchio guerriero era troppo nota nella steppa.

I Sarti, che sono d’altronde valenti soldati, vivendo in continua guerra colle orde dei Kirghisi e degli Usbechi, quegli eterni scorridori della grande pianura turanica, in un lampo furono tutti a cavallo ed il plotone lasciò la piazza, mentre le loro donne ed i vecchi che erano pure usciti, gridavano loro dietro:

— Tornate vincitori! —

Ed il mullah del villaggio, salito sul suo piccolo minareto mezzo diroccato, urlava a squarciagola:

Slonchay!... Dismillahir rahmarir rahim! — (All’erta!... Suoni la mia parola in nome di Dio santo ed inesorabile).

Il beg, si era messo alla testa dello squadrone e, siccome il suo cavallo era tutt’altro che stanco, lo conduceva con una velocità vertiginosa, temendo di giungere troppo tardi.

Avevano percorso appena un paio di miglia, quando i cavalieri cominciarono a udire confusamente le scariche di moschetteria.

— Preparate le armi! — gridò il beg, reggendosi sulle larghe staffe e levandosi dalla fascia il kangiarro. — Nessuna compassione per quei ladroni. —

Continuarono la corsa sfrenata per parecchi minuti ancora, mentre le scariche diventavano intense e più forti.