Pagina:Le aquile della steppa.djvu/92

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86 Capitolo decimo.

sela loro. Qualche Khan, o qualche Emiro deve entrarci nella partita.

— È quello che sospetto anch’io — rispose il beg, con un sospiro. — Ma per quanto corrano quei banditi, noi sapremo ritrovarli, prima che lascino la steppa. Ah!...

— Cos’hai padrone?

— Hai ben guardato i rapitori?

— Mi è stato impossibile. Sono stato scaraventato a terra così malamente, che quando mi sono rialzato i banditi erano già lontani.

— Sai chi ho veduto fra di loro?

— Non lo saprei padrone.

— Alcuni di quei suonatori che accompagnavano il mestvires.

— Impossibile!...

— Li ho perfettamente riconosciuti.

— Dunque quel cane d’un cantastorie è un alleato delle Aquile! forse una loro spia! — esclamò il gigante, digrignando i denti. — Lo accopperò con un pugno!... Bisogna ritrovarlo a qualunque costo.

— È per questo che torno più che in fretta, — disse il beg.

— Io l’ho veduto nel momento in cui ci preparavamo a lasciare la casa di Talmà, avviarsi verso il villaggio dei Sarti.

— Preghi Allah di non farsi trovare!...

— Mentre io pregherò di lasciarcelo catturare, — rispose il beg. — Se lo trovo non uscirà vivo dalle mie mani. Gli ho riserbato un supplizio che gli farà maledire il giorno in cui è venuto al mondo!... —

La banda, che si era aumentata d’un altro manipolo di cavalieri, passò al galoppo dinanzi alla casa di Talmà, che era guardata da una dozzina di servi armati e proseguì la corsa velocissima verso il villaggio, che si distingueva vagamente in lontananza, illuminato dagli ultimi raggi del sole tramontante.

Le detonazioni erano cessate ed una grande calma, rotta solo dal galoppo precipitato dei cavalieri, regnava sulla landa sterminata.

Tutti aguzzavano gli sguardi, tormentando i grilletti dei loro fucili, impazienti di far pagare alle Aquile il loro infame tradimento; ma nessun cavaliere appariva sulla distesa verdeggiante.

I banditi, dopo d’aver fatto una dimostrazione ostile contro il