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Hossein alla riscossa. | 87 |
villaggio, dovevano essersi dispersi. Ciò d’altronde non sorprendeva nessuno, essendo abitudine dei banditi della steppa di dividere le loro forze, per fare due attacchi simultanei, in modo da confondere e disorganizzare gli assaliti.
Bastarono tre quarti d’ora ai cavalieri del beg per attraversare la distanza che separava la casa di Talmà dal villaggio dei Sarti.
I vecchi, rimasti a difesa delle donne e dei fanciulli, erano schierati dinanzi alle prime case e sulle terrazze, coi loro bravi moschettoni in mano ed i kangiarri ed i jatagan alla cintura.
Quantunque non più giovani, erano ancora formidabili guerrieri, capaci di difendere lungamente le loro case.
— Le Aquile? — chiese il beg, appena fu in mezzo a loro, mentre Tabriz lo aiutata a scendere da cavallo.
— Scomparse, signore, — rispose un vecchio dalla lunga barba bianca, che si era improvvisato conduttore dei suoi compagni. — Non hanno fatto che alcune scariche, poi si sono allontanate verso il settentrione.
Sembra che non avessero alcuna intenzione di assalire il villaggio.
— Conosci il mestvires?
— Il narra-istorie che suona la guzla?
— Sì, — rispose il beg.
— Mezz’ora fa era ancora qui e scommetterei che si trova in qualche casa.
— Non è partito colle Aquile?
— No, beg, di questo ne sono certo.
— L’avevi mai veduto, prima che si spargesse la voce del matrimonio di mio nipote con Talmà?
— Mai, signore.
— Non sai da dove sia venuto?
— Sarà caduto dall’Afganistan, dal Belucistan o dalla Persia.
— Hai udito. Tabriz? — chiese il beg.
— Sì, padrone, — rispose il gigante. — Bisogna prenderlo vivo o morto.
— Morto!... Vivo, Tabriz: egli sa certo molte cose e deve parlare. —
Poi, volgendosi verso i cavalieri che gli stavano d’intorno, aggiunse: