Pagina:Le cento novelle antiche.djvu/122

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Ancora si legge di Seneca, ch’essendo maestro di Nerone, sì lo batteo quando era giovane, come suo scolaio: e quando Nerone In fatto imperadore, ricordossi delle battiture di Seneca; sì lo fece pigliare, e giudicollo a morte. Ma cotanto li fece di grazia, che li disse che elegesse di qual morte elli volesse morire. E Seneca chiese di farsi aprire tutte le vene in un bagno caldo. E la moglie sì ’l piangea, e dicea: deh, signor mio, che doglia m’è che tu mori sanza colpa. E Seneca rispose: meglio m’è che io moia sanza colpa, che con colpa. Così sarebbe dunque scusato colui che m’uccide a torto.


Qui conta come Cato si lamentava contro alla ventura.


NOVELLA LXXII.


Cato filosofo, uomo grandissimo di Roma, stando in pregione et in povertade, parlava colla ventura, e doleasi molto, e dicea: perchè m’hai tu tanto tolto? Poi sì rispondea in luogo della ventura, e dicea così: figliuolo mio, quanto dilicatamente t’ho allevato e nodrito! e tutto ciò che m’hai chesto t’ho dato. La signoria di Roma t’ho data. Signore t’ho fatto di molte dilizie, di gran palazzi, di molto oro, gran cavalli, molti arnesi. O figliuolo mio, perchè ti rammarichi tue? perch’io mi parta da te? E Cato rispondea: sì, rammarico. E la ventura rispondea: figliuolo mio, tu se’ molto savio. Or non pensi