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168 le confessioni d’un ottuagenario.

serva del suo coraggio per tornare alla carica; ma era così novizio lui nell’usanza delle interrogazioni, che non fu meraviglia se per la prima volta vi fece una mediocrissima figura.

— N’è vero che fa molto caldo oggi? — riprese egli.

— Un caldo da morire — rispose la Doretta.

— Ma crede che continuerà? — domandò l’altro.

— Eh, secondo i lunarii! — soggiunse malignamente la fanciulla. — Lo Schieson dice di sì, e il Strolic promette di no.

— E lei mo cosa ne pronostica? — seguitò Leopardo andando di male in peggio.

— Io per me sono indifferente! — rispose la fanciulla che cominciava a prender qualche sollazzo di quel dialogo. — Il Piovano di Venchieredo fa i tridui tanto per l’arsura che per la brina, e a me il pregare per questa o per quella non cresce minimamente l’incommodo.

— Come è vivace e piacevole! — pensò Leopardo; e questo pensiero gli distolse il cervello da quella faticosa inchiesta d’interrogazioni così ben riuscita infino allora.

— Ha preso molto selvatico? — si decise a dimandar la Doretta vedendolo tacere, e non volendo trascurare una sì peregrina occasione di trastullarsi.

— Oh! — sclamò il giovine, come accorgendosi solo in quel momento di aver il fucile ad armacollo.

— L’avverto che ha dimenticato a casa la pietra, — continuò la furbetta. — O sarebbe un’arma di nuovo stampo? —

L’archibugio di Leopardo rimontava alla prima generazione delle armi da fuoco, e converrebbe averlo veduto per capire tutta la malizia di quella finta ingenuità.

— È un antico schioppo di famiglia, — rispose gravemente il giovine, che ci aveva meditato sopra assai e ne conosceva per tradizione nascita, vita e miracoli. — Esso ha