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486 le confessioni d’un ottuagenario.

la carità che raccoglie l’ingratitudine! Maledetto... — La mia mente in questi tetri delirii vacillava fra il furore e la stupidità; quella vita santa e centenaria troncata a quel modo negli spasimi dello spavento mi travolgeva la ragione, e stetti lunga pezza con quel braccio gelato nella mano, che non avrei saputo dire se fossi vivo o morto. Finalmente mi riscossi vedendo farsi luce nella stanza, e vidi essere il cappellano che si maravigliò non poco di trovarmi in quel luogo. Lo Spaccafumo gli veniva dietro recando una candela. In tutt’altro momento la scompostezza delle loro figure, il pallore del viso, l’infossamento degli occhi, il sanguinar delle carni mi avrebbe messo raccapriccio; allora invece non vi badai nemmeno. Il prete s’accostò senza parole al letto della vecchia, e sollevato l’altro suo braccio lo lasciò ricadere.

— Cani di Francesi! — mormorò egli. — Ecco ch’ella è morta senza i conforti della religione!... E sì, io non ne ho colpa, mio Dio?... —

Ciò dicendo egli si guardava la persona tutta pesta e lacerata pei mali trattamenti dei soldati, dei quali avea sfidato la collera col voler rimanere al letto dell’inferma. Lo avevano trascinato fuori di là sbeffeggiandolo e percotendolo, ma egli avea ronzato sempre intorno al castello, e vi tornava allora, non appena i saccheggiatori si erano dileguati. Quanto allo Spaccafumo egli indovinava cento miglia lontano le disgrazie del cappellano e non mancava mai di accorrere in buon punto; era proprio una seconda vista aguzzata dalla gratitudine e dall’amicizia. Io nè potei forse allora, nè volli poi amareggiare il dolore del buon prete raccontandogli la morte della signora. Tacqui dunque, e mi inginocchiai con loro a recitare le preghiere dei morti; nell’animo mio più per conforto ai vivi, che per suffragio alla defunta. Indi ricomponemmo il cadavere in un’attitudine cristiana; ma l’idea impressa dalla morte su