Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/514

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capitolo decimo. 487

quelle sembianze sformate, contrastava spaventosamente colle mani giunte in croce in atto di preghiera. Io che volgeva nell’anima il segreto di quel contrasto mi allontanai poco dopo, lasciando il prete ed il suo compagno recitare con devoto fervore le orazioni dei defunti. Vagai a lungo per la campagna come uno spettro; indi tornato in paese, seppi da qualche fuggiasco la storia terribile di quella scorreria soldatesca, che dopo aver insozzato tutto il territorio s’era rovesciata col furore dell’ubriachezza sul castello di Fratta. I vituperi che una masnada di sicarii doveva aver commesso su quella povera vecchia, che sola era rimasta ad affrontarli, non voleva immaginarmeli. Ma quel poco che ne avea veduto il cappellano, lo stato miserevole del cadavere, il disordine della stanza, attestavano degli scherni spietati ch’ella aveva sofferto. Confesso che il mio entusiasmo pei Francesi si rallentò d’assai; ma poi a ripensarvi, mi parve impossibile che premeditatamente si lasciassero commettere tali mostruosità, e divisando che le dovevano imputarsi al talento bestiale di alcuni soldati, decisi di trarne giustizia. La fama dipingeva il general Buonaparte come un vero repubblicano, il difensore della libertà; mi cacciai in capo di ricorrere a lui, e due giorni dopo, quando il corpo della contessa fu deposto coi soliti onori nella tomba gentilizia, mi misi in viaggio per Udine, dove aveva allora sua stanza lo stato maggiore dell’esercito francese. Dai dati raccolti avea potuto argomentare che i colpevoli appartenessero all’ugual battaglione di bersaglieri che scortava il convoglio dei grani partito quel giorno stesso da Portogruaro: perciò non disperava che verrebbe fatto di rintracciarli e di punirli ad esemplare castigo. La virtù antica del giovine liberatore d’Italia era caparra, secondo me, di pronta giustizia.

Ad Udine trovai la solita confusione. Gli ospiti che comandavano, i padroni che ubbidivano. Le autorità ve-