Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/112

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104 le confessioni d'un ottuagenario.

va bene che restiate qui, se si ha da imparare a far da noi. Già in un cantone o nell’altro la matassa si deve imbrogliare. Ad Ancona, a Napoli, bollono che è una meraviglia: quando l’incendio si fosse dilatato, chi lo appiccò potrebbe restarne arso, allora toccherà a voi, cioè a noi. Per questo ti dico di rimanere, e di lasciare me solo dove la vecchiaja può riescire meglio della gioventù, ed il denaro avere ragione sopra le forze del corpo e la gagliardia dell’animo.

— Padre mio! che volete che vi dica?... Resterò!... Ma si potrebbe almen sapere dove n’andate?

— In Oriente vado, in Oriente a intendermela coi Turchi, giacchè qui non ebbi voce da farmi capire. Fra poco, se anche non udrai parlare di me, udrai parlare dei Turchi. Dì pur allora ch’io c’ebbi le mani in pasta. Di più non ti posso dire, perchè sono ancora fantasmi di progetti. —

Mio padre doveva uscire, per prender l’ora dal capitano della tartana che salpava pel Levante. Io lo accompagnai, e non altro potei rilevare, senonchè egli andava difilato a Costantinopoli, ove potea fermarsi e molto e poco, secondo le circostanze. Certo i suoi pensieri non erano nè piccoli, nè vili, perchè ingrandivano la sua persona, e le davano una sembianza di autorità insolita fino allora. Avea la solita berretta, le solite brache all’Armena, ma un fuoco affatto nuovo gli lampeggiava dalle ciglia canute. Verso le nove salì sulla nave colla fida fantesca e un piccolo baule; non mise un sospiro, non lasciò saluti per nessuno, riprese volontario la strada dell’esiglio, colla baldanza del giovine che avesse dinanzi agli occhi la certezza d’un vicino trionfo. Mi baciò così come all’indomani ci dovessimo rivedere, mi raccomandò la visita all’Apostulos; e poi egli scese sotto coperta, e io tornai nella gondola che ci aveva condotti a bordo.