Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/113

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Oh come mi trovai solo, misero, abbandonato al ritoccare il lastrico della Piazzetta!... L’anima mia corse con un sospiro alla Pisana; ma la fermai a mezza strada col pensiero di Giulio e dell’ufficiai còrso. Mi rimisi allora a piangere la morte di Leopardo, e ad onorare la sua memoria di quei postumi compianti, che formano l’elogio funebre d’un amico. Piansi e farneticai un pezzo, finché per distrarmi pensai alla credenziale, e mi volsi a san Zaccaria per abboccarmi col negoziante greco. Trovai un mustacchione grigio di pochissime parole, che onorò la firma di mio padre, e mi chiese senz’altro in qual modo bramassi esser pagato. Gli risposi che desiderava solo gli interessi d’anno in anno, e che il capitale lo lascierei volentieri in mani così sicure. Il vecchio allora diede una specie di grugnito, e comparve un giovine al quale consegnò il foglio, aggiungendo in greco qualche parola che non potei capire. Mi disse poi che quello era suo figlio, e che n’andassi pure con lui alla cassa, ove mi sarebbe contata la somma secondo il mio piacimento. Quanto era ruvido e brontolone il vecchio negoziante, altrettanto suo figlio Spiridione piaceva per le sue maniere amabili e compite. Grande e svelto di statura, con un profilo greco, moderno, arditissimo, un colore più che olivastro, e due occhi fulminei, egli mi entrò in grazia al primo aspetto. Intravidi una grand’anima sotto quella sembianza, e secondo la mia usanza, mi chiese scusa sorridendo della burbera accoglienza di suo padre, e soggiunse che non me ne spaventassi perché egli gli avea parlato di me quella stessa mattina con tutto il favore, e che sarei il benvenuto nella loro casa, ove avrei ritrovato la confidenza e la pace della famiglia. Io lo ringraziai di sì benevoli sentimenti, soggiungendo che questo sarebbe stato il mio più soave piacere, ove un qualche caso straordinario mi