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164 le confessioni d'un ottuagenario.

gine del canale ove tante volte avea passeggiato con Amilcare. Domandai pertanto d’un’osteria, e me ne fu additata una alla destra di Porta Codalunga, ove appunto pochi anni or sono fu costruito il gazometro. Mi ci avviai col mio fardello sotto il braccio, seguitato da alcuni birichini che ammiravano il mio vestimento orientale: entratovi chiesi una stanza, e qualche cosa da ristorarmi. Là mi cangiai di abito, presi un po’ di cibo, non volli saperne di vino, e pagato il piccolo scotto, uscii dalla bettola dicendo a voce alta che vestito a quel modo sperava di non dar nell’occhio ai monelli della città. Infatti feci le viste di avviarmivi; ma giunto alla porta tirai oltre, e la diedi giù per un viottolo che a mia memoria doveva riuscire sulla strada di Vicenza. Uscendo dall’osteria avea sbirciato un tale, che aveva muso di tenermi dietro avvisatamente, e voleva chiarirmi della verità. Infatti guardando di traverso io vedeva sempre quest’ombra che seguitava la mia, che allentava, sollecitava, e fermava il passo con me. Svoltato giù per quel viottolo udiva del pari un passo leggiero e prudente che mi accompagnava; sicchè non v’aveva più dubbio, quel cotale era lì proprio per me. Pensai subito al Venchieredo, al padre Pendola, all’avvocato Ormenta e ai loro spioni: allora non sapeva che il degno avvocato sedeva al governo per la accorta protezione del reverendo. Tuttavia mi parve che la franchezza fosse il miglior partito, e quando ebbi tirato il mio cagnotto da ferma nell’aperta campagna mi volsi precipitosamente; e mi slanciai sopra di lui per ghermirlo se si poteva, e pagarlo con doppia moneta della non chiesta compagnia. Con mia gran sorpresa, colui nè si mosse, nè diede segno di spavento; anzi aveva intorno un cappotto da marinajo, e ne abbassò il cappuccio per discoprirsi meglio. Io allora deposi anch’io la parte più pericolosa della mia rabbia, e mi accontentai di tenergli ricordato che non era lecito starsi a quel modo sulle calca-