Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/207

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capitolo decimoquinto. 199

venne allora comodissimo di chiedere anche d’Emilio Tornoni, fingendo conoscerlo e desiderarne qualche contezza. Lucilio sporse il labbro, e nulla rispose. Giulio mi disse ghignando, ch’era partito per Roma con una bella contessa milanese, a farci probabilmente la rivoluzione. I loro atti dispregiativi mi diedero qualche sospetto ma non potei cavarne di più. Indi a poco rientrò quel capo sventato di Amilcare; nuovi baci, nuova maraviglia. L’era diventato negro come un arabo, con una certa voce che pareva accordata allo strepito delle moschetterie; ma mi spiegarono poi che se l’aveva guastata a quel modo insegnando camminare alle reclute. In fatti il movere un passo, che è per sè cosa facilissima, i tattici di guerra l’hanno ridotta l’arte più malagevole del mondo, e bisogna dire che prima di Federico II si combattessero le battaglie o senza camminare, o camminando assai male: e non è incredibile che di qui a cent’anni s’insegni ai soldati batter le terzine e marciare a passo di polka. Quella sera non volea terminar più, tante cose avevamo da raccontarci; ma eravamo usciti sui bastioni, e al sonar dei tamburi Lucilio fece motto agli altri due ch’era tempo di ritirarsi.

— Eh sì! — dice Amilcare stringendosi nelle spalle. — Un ufficiale par mio ubbidire al tamburo.

— Ed io sono malato, e fo conto d’essere allo spedale — soggiunse Giulio.

Io mi fidava che Lucilio li avrebbe chiamati al dovere, perchè mi tardava l’ora di abboccarmi coll’Aglaura, e portarle la lettera e le notizie d’Emilio; ma i due coscritti non badavano punto alle parole del Dottore e mi convenne godere la loro compagnia fin oltre le nove. Allora vollero accompagnarmi al mio alloggio, e siccome non li invitai a salire, e videro il lume alle finestre, e un’ombra come di donna disegnarsi sulla cortina, cominciarono a darmi la baja, e a far mille conghietture, e consolarsi con me della