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era degno teatro. Colà s’erano riuniti i più valenti e generosi uomini d’Italia; e l’antica donna, che sparsi non li aveva contati, gloriavasi allora a buon dritto di quell’improvviso ed illustre Areopago. Aldini, Paradisi, Rasori, Gioja, Fontana, Gianni, i due Pindemonte, erano personaggi da riscaldare la potente loquela del Foscolo. Per mezzo suo conobbi anche i poeti Monti e Parini, il mirabile traduttore, e il severo ed attico censore. La figura grave, serena ed affabile del Parini, mi resterà sempre impressa nella memoria; i suoi piedi quasi storpii lo conducevano a rilento; ma il fuoco dell’anima lampeggiava ancora dalle ciglia canute. La lettera in cui Jacopo Ortis racconta il suo dialogo con Parini, è certo una viva e storica reminiscenza di quel tempo; potrei farne testimonianza. Io stesso vidi alcuna volta il cadente abate, e il giovine impetuoso seder vicini sotto un albero, nel sobborgo fuor di Porta Orientale. Li raggiungevo, e piangevamo insieme le cose ahi tanto minori dei nomi!... Ben era quel Parini, che richiesto di gridare viva la Repubblica e muojano i tiranni! rispose: — Viva la Repubblica e morte a nessuno! Ben era quel Foscolo, che diede l’ultima pennellata al suo ritratto, dicendo: « Morte sol mi darà pace e riposo! » Io non era che un umile alfiere della Legione Partenopea; ma col cuore, lo dico a fronte alta, poteva reggere del paro con quei grandi, perciò li capiva, e mi si affaceva la loro compagnia.
Anche il Foscolo s’era fatto ufficiale nell’esercito cisalpino. Si creavano a quel tempo gli ufficiali, come gli uomini dai denti di Cadmo. Medici, legali, letterati cingevano la spada; e la toga cedeva alle armi. I giovani delle migliori famiglie continuavano a darne il buon esempio; la costanza, il fervore, l’emulazione supplivano alla strettezza del tempo. In onta a passeggieri disordini, e a repubblicane insubordinazioni, il nucleo del futuro esercito italico s’era già formato. Carafa temeva che i generali