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236 le confessioni d’un ottuagenario.

Il mio disegno era questo: di dar una voce d’allarme alla guarnigione del convento, e di girar le mura e penetrare nell’orto per la cinta ruinosa del medesimo, mentre tutti avrebbero badato al luogo donde si aspettava il nemico. Quella sera, per esser festa, il grosso della truppa era sparpagliata per le bettole di Velletri, e grandi scompigli non potevano nascere. L’inganno si sarebbe scoperto, ed io avrei fornito il fatto mio, prima che gli ufficiali avessero raccozzato le loro schiere. Il Carafa, uscito certamente per dar gli ordini, non poteva vedermi, le altre persone del convento, qualunque si fossero, certo non conoscevano me; e l’unico pericolo, abbastanza grande per verità, si era ch’io fossi scoperto nello scappar fuori del convento; ma la scusa non mancava, di esser penetrato per salvarmi da una scorreria di cavalli napoletani. Credessero o no, non me ne importava; e dovessi anche pagare quel capriccio a prezzo di sangue, aveva promesso e voleva mantenere.

Infatti verso il cader del sole, pigliando argomento da un gran polverio che si vedeva sorgere rimpetto al convento dalla parte della montagna, (ed erano forse mandre che scendevano) io e alcuni de’ miei compagni interessati alla scommessa, fingendoci sorpresi in una bettola vicina, corremmo fino alla prima scolta, gridando che si avanzavano i napoletani, e che dessero il segno mentre noi salivamo di gran fretta a Velletri ad ordinare il resto. In pochi momenti la piccola guarnigione fu pronta; perchè il Carafa, prevedendo simili casi, aveva immaginato un’imboscata sul lato sinistro della strada, e non lasciò così che una sentinella o due intorno al monastero, divisando che l’era sempre a tempo di ritirarsi, e che il grosso della legione scendendo intanto da Velletri, avrebbe preso il nemico fra due fuochi. Mentr’egli disponeva così la sua piccola schiera in catena, sopra certe colline coronate di ci-