Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/245

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capitolo decimosesto. 237

pressi e di lauri che fiancheggiavano la strada, e in mezzo ad essi attendeva a collocare i due cannoncelli colla solita antiveggenza ed operosità che non si riscontravano in altri che in lui, io e i miei compagni ridendo allegramente di quel parapiglia con un breve giro per la campagna ci ridussimo alla parte posteriore del convento dove l’orto combaciava quasi colla maremma. Essi stettero osservando; io scavalcai lievemente il muro; e via per mezzo all’orto dove i cavoli in semenza e il verziere abbruciato dal sole attestavano la non finita quaresima dei proscritti cappuccini. Quando fui giunto al fabbricato del convento, spiai le finestre e la porta per trovare un buco da entrarvi; ma era faccenda più disagevole di quanto m’avea figurato. Le finestre erano munite d’inferriate solidissime, e le porte d’imposte di acero che avrebbero resistito ad una catapulta. Mi trovava, come si dice, a Roma, e non potea veder il papa. In quella vidi là presso fra alcuni alberi una scala a piuoli che avea dovuto servire all’ortolano dei frati per dispiccare le pesche, e pensai che gli aditi del piano superiore non erano forse così gelosamente guardati come quelli del terreno. Adattai la scala e mi misi alla prova. Le imposte infatti della prima finestra che tentai erano solamente accostate, senza alcuna sicurtà di chiavacci o di sbarre. Le apersi pian piano. Vidi ch’era una specie di guardaroba cambiata dal signor Ettore in armeria, e buttai dentro una gamba. Ma mentre stava per passar coll’altra, un romore, uno scalpito, un gridio udito poco lontano mi fece restar sospeso, così com’era, a cavalcione del davanzale. Sullo stesso muro da me scavalcato vidi sorgere un cappello a tre punte, indi un altro, e un altro ancora. Era gente che aveva gran fretta di entrare, e pareva più disposta a fracassarsi il capo, precipitando dalla muraglia nell’orto, che a restare dall’altra parte. Uno di essi giunto al sommo, s’apprestava a discendere, quando tuonò come