Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/249

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capitolo decimosesto. 241

sicurezza non era maggiore; l’incendio s’era dilatato in un attimo, perchè c’erano sotto appunto i magazzini della paglia; bisognava uscire, o rassegnarsi a morire abbrustoliti. I miei compagni con pistole fra mano, e la spada fra i denti, si precipitarono dalle finestre, e sgominando per la sorpresa i pochi nemici, distratti dalla vista dell’incendio, si ritrassero a salvamento sulla collina. Uno solo, inciampato nel cadere, si slogò e si ruppe una gamba, benchè il salto da quella parte fosse discretissimo, e subito quei sicarii gli furono addosso come lupi ad un agnello, e a dirvi le torture e gli strazii che gli fecero soffrire, sarei tacciato senza fallo di bugiardo, perchè sembrerebbe impossibile che tanto si infierisse contro una creatura umana in un attimo di tempo. Io mi ritrassi raccapricciando; pure una forza sovrumana mi comandava di non fuggire; mi relegava fra quelle muraglie già invase dalle fiamme. Altre creature vi erano chiuse, non sapeva chi; ma bastava perchè io, cagione innocente di quell’eccidio, mi sacrificassi ad una lontana lusinga di poterle salvare. Correva come un pazzo pei lunghi corritoj, passava da porta a porta per le innumerevoli celle e pei profondi appartamenti del chiostro; l’aria si riscaldava sempre più come d’un forno in cui si rattizzi mano a mano la fiamma. Dappertutto era solitudine e silenzio; solo gli urli di fuori, e un lontano strepito d’archibugiate, aggiungeva terrore a quegli angosciosi momenti. Deliberato a non tentare la fuga, se prima non era ben certo che anima umana non restasse in quell’inferno, mi avventurai a un disperato passaggio sopra quell’andito, il cui pavimento ci era quasi crollato sotto ai piedi. Restavano alcune travi fumiganti, e da un lato della muraglia una specie di volta che copriva una scala sottoposta. Passai correndo sopra questa, e mi diedi a vagare dissennato per quell’altra parte dell’edifizio. Giunsi ad una porta chiusa che non avrebbe resistito cer-