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248 le confessioni d’un ottuagenario.

migliati, colle sembianze scomposte dalle vicende terribili di quella mezza giornata, ella poggiava il gomito sulla tavola, e la fronte sulla mano affumicata e sanguinosa pur essa. Sembrava qualche negra Pitonessa uscita dall’Erebo allora, e meditante gli spaventevoli misteri della visione infernale. Io non osava rompere quel tetro silenzio, avvea anch’io bisogno di raccogliermi e di pensare, prima di provocare le rivelazioni della tetra Sibilla. La storia del cuor suo, e quella della sua vita dopo la mia partenza, si illuminavano a spruzzi nella mia atterrita fantasia; ma aveva ribrezzo di guardare, sentiva che pel momento era uno sforzo superiore alle mie forze. Se taluno mi avesse detto: a prezzo di farti stupido io prometto convincerti della innocenza della Pisana, certo io avrei accettato il contratto.

Indi a un’ora circa il signor Ettore Carafa solo, accigliato, entrò nella stanza. Non aveva cappello, chè l’avea perduto nella mischia, cingeva il fodero senza spada, perchè l’aveva spezzata nel cranio d’un dragone dopo avergli segato l’elmo per mezzo alla cresta; la sua cicatrice s’imbiancava d’un pallore quasi incandescente. Salutò, si mise tra me e la Pisana, e aspettò che alcuno di noi parlasse. Ma la Pisana non lo lasciò aspettare a lungo, chè con fare superbo e stizzoso gli domandò che ripetesse la storia de’ miei amori colla bella Greca; e narrasse la cosa ingenuamente come l’aveva narrata a lei. Il Carafa infatti, chiestane a me licenza, narrò senza scomporsi quello che aveva saputo di tali amori nei crocchi di Milano, e della bellezza della giovane, e della gelosia con cui la teneva nascosta agli occhi di tutti.

— Ecco, Pisana, cosa vi narrai; — conchiuse egli — quando appena giunta a Milano veniste da me a chiedermi se nulla sapeva di Carlo Altoviti mio ufficiale, e degli amori suoi che facevano tanto chiasso appunto pel loro mistero.