Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/255

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capitolo decimosesto. 247

La Pisana si strinse la fronte colle mani e si mise a piangere; indi improvvisamente balzò dal letto, ove l’avevano adagiata vestita com’era, e fece motto di voler uscire dalla stanza; io la trattenni.

— Dove vuoi andare ora?

— Voglio andare dal signor Ettore Carafa: conducimi tosto dal signor Ettore.

— Il signor capitano sarà ora occupatissimo nel dare la caccia ai Napoletani, e non ci sarebbe tanto facile trovarlo; d’altra parte egli fu avvertito del tuo salvamento, e non può fare che non ti raggiunga appena lo potrà.

Queste ultime parole io le condii d’un discreto sapore d’ironia, ond’ella inalberandomisi dinanzi:

— Guai a lui, o guai a te! — sclamò con atto profetico.

— Guai a nessuno — io le risposi con fronte sicura. — Guai a nessuno; pur troppo!... Io sarei ben fortunato di poter uccidere taluno!...

— Perchè non uccidi me? — uscì ella a dire con molta ingenuità.

— Perchè... perchè... perchè sei troppo bella... perchè mi ricordo che fosti anche buona! —

— Taci, Carlo, taci!... Credi che verrà presto il signor Ettore?

— Non te lo dissi?... Appena potrà!... —

Ella tacque allora per lunga pezza, e al dubbio chiarore della luna che entrava dalla loggia vicina, vidi che molti e varii pensieri le traversavano la fronte. Ora fosca, ora raggiante, ora tempestosa come un cielo carico di nuvole, ora tranquilla e serena come il mare d’estate; si componeva talvolta all’attitudine della preghiera, poco dopo stringeva il pugno, come avesse in mano uno stile e ne ferisse a più riprese un petto aborrito. Colle vesti discinte, brutte di sangue e di polvere, coi capelli semiarsi e scar-