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Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/260

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252 le confessioni d’un ottuagenario.

effusione, e si ritirò ripigliando il suo fiero cipiglio guerresco; mi parve che nel rilevare il petto e nello scuotere leggermente i capelli, egli gettasse le spoglie dell’innamorato per rivestire la pelle leonina d’Alcide.

Io rientrai dalla Pisana senza far parola, e aspettava ch’ella m’interrogasse.

— Dov’è andato il signor Carafa? — chies’ella infatti con molta premura.

— Ad ordinare la ritirata sopra Frascati, — risposi.

— E pianta qua me?... e non mi dice nemmeno dove va?

— Egli ha detto a me che lo significassi a voi. Vedete ch’egli non manca ad alcuno de’ suoi doveri di cavalleria, e che non si rifiuta dall’osservare gli obblighi contratti con voi!

— Obblighi con me?... lui?... Me ne meraviglio!... Egli non avrebbe altr’obbligo che di rendermi quello che m’ha rubato; ma son cose che non si restituiscono. Infine poi non sarà la prima donna che si sia fatta rispettare, senza avere al fianco la spada ignuda d’un paladino!... Favorite chiamare la mia cameriera!

— Vi dimenticate dove l’abbiamo lasciata?... Ella restò vittima dell’incendio!

— Chi?... La Rosa?... La Rosa è morta?... Oh poveretta me, oh disgraziata me! Son io, son io che l’ho lasciata perire a quel modo!... Me ne sono dimenticata quando appunto dovea prenderne maggior cura! Maledizione a me che avrò sempre sulla coscienza il sangue d’una innocente! —

Io mi sforzai a darle ad intendere che essendo ella svenuta in quel parapiglia, e bisognevole del mio soccorso per fuggire, non la potea già darsi pensiero nè della Rosa nè di nessuno. Ella seguitò a lamentarsi, a sospirare, a parlare con una volubilità incredibile, senza peraltro far