Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/273

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capitolo decimosettimo. 265

corremmo a Bisceglie dove pareva tendessero a concentrarsi gli sparsi bastimenti, e là giovandoci del grande spirito degli abitanti, e d’alcuni cannoni trovati nel castello, si guardò alla meglio d’armare la spiaggia. Avevamo sparso la voce che quelle flotte erano cariche di masnade albanesi e saracine pronte a vomitarsi sul Regno per metterlo tutto a ferro e fuoco. Siccome l’odio contro la nazione turchesca è tradizionale in quelle regioni, la gente ci spalleggiava a tutto potere. Così s’era tutto disposto a ribattere validamente un primo attacco a Bisceglie, quando capitò a spron battuto un messo da Molfetta sette miglia lontano, che recava d’uno sbarco che si tentava colà, e della grande opera che il popolo faceva per impedirlo. Vedendo le cose di Bisceglie bene accomodate, giudicammo opportuno io e Martelli di volger colà dove nessuna provvidenza s’avea presa contro il nemico. Disperavamo di difenderci a lungo, ma volevamo perdere piuttosto la vita, che la certezza di aver fatto quanto da noi si poteva per la salute della Repubblica. Lasciammo buona parte della nostra gente a Bisceglie; e noi, insellati quanti cavalli si potevano trovare, corremmo a briglia sciolta sulla strada. Non so cosa m’avessi quel giorno, ma mi sentia venir meno la costanza e le forze: forse era certezza che la nostra causa era perduta, e che non si combatteva omai per altro che per l’onore. Ai presentimenti si vuol credere molto a rilento. Martelli più disperato ma più forte di me, veniami riconfortando a non disanimarmi, a non ismetter nulla di quella sicurezza miracolosa che finallora ci avea servito meglio d’un esercito a serbar in fede il contado della Puglia. Rispondeva che si desse pace, che avrei combattuto fino all’estremo, ma che una stanchezza invincibile mi rammolliva di dentro mio malgrado. Circa un miglio fuori da Molfetta cominciammo a veder il fumo ed ad udir lo scoppio delle archibugiate. Si vedeva anche in mare qualche legno che