Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/307

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capitolo decimottavo. 299

ogni giorno più, trovandosi omai ridotto ad un centinajo di campi intorno al castello di Fratta, sui quali erano ipotecati i crediti delle figlie. La reverenda Clara, dopo la morte della madre Redenta, era diventata la grande testa del convento e volevano farla badessa. Perciò meno che mai si angustiava per quello che avveniva di brutto o di bello nel secolo. Il conte Rinaldo sgobbava sempre alla Ragioneria e nelle biblioteche; Raimondo Venchieredo se gli aveva offerto di fargli ottenere un avanzamento negli uffici amministrativi, ma aveva ostinatamente rifiutato; andava via unto e cencioso col suo ducato al giorno, pelatogli anche questo dalla madre; ma non voleva, a mio credere, curvar la schiena più che non fosse strettamente necessario. L’Aglaura in particolare mi dava notizie della Doretta, che come sapete, era stata altre volte in qualche relazione con lei, e precisamente le aveva recato per parte del Venchieredo qualche lettera d’Emilio dopo la partenza di costui per Milano. La sciagurata, abbandonata da Raimondo, aveva perduto ogni ritegno; e di amante in amante sempre più basso era caduta nei sitacci più fetidi e infami di Venezia.

— Vedi, a chi ti fidavi? — diss'io alla Pisana. — Ella m’avea confessato che la Doretta era stata a narrarle il mio amore e la mia fuga coll’Aglaura; nella qual cosa la stupida bagascia serviva alle mire di Raimondo contro il suo proprio interesse.

— Che vuoi che ti risponda? — soggiunse la Pisana. — Già sai che quando si è stizziti con alcuno, meglio ci entrano le parole cattive che le buone. E se ti confessassi ora che Raimondo stesso mi ti dipingeva come un imbroglione, rimasto a Venezia più tardi degli altri e partito poi per Milano alla sfuggita, solamente per pescar nel torbido, ma in un torbido molto puzzolente?

— Ah birbante! — sclamai. — Questo ti diceva Raimondo?... L’avrà a fare con me!...