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298 le confessioni d’un ottuagenario.

brava in balìa più dei tristi che dei buoni. Il Venchieredo padre spadroneggiava senza pudore, ostentando maniere, linguaggio e alterigia forestiere. Spiro, che avea dovuto presentarglisi per implorar la liberazione d’un suo compatriota, relegato a Cattaro coi repubblicani catturati in terraferma, avea dovuto convenire che i padroni stranieri valgono meglio dei fattori e castaldi nazionali. L’avvocato Ormenta era compagno al Venchieredo in quella trista opera, ma s’infamava meglio per occulte ladrerie che per aperte sopraffazioni. Operavano i consigli del padre Pendola; il quale ad onta della cacciata da Portogruaro e del discredito in cui era tenuto dalla Curia di Venezia, avea saputo formarsi un certo partito nel clero meno educato; e da taluni era tenuto per un martire, da altri per un birbante. I vecchi Frumier erano morti ambidue a un mese di distanza l’un dell’altro; dei giovani, Alfonso, avea rinunciato al matrimonio per ottenere una commenda dell’Ordine di Malta, e non si sapeva nemmeno ch’egli esistesse; ma si diceva ch’egli corteggiasse una certa dama Dolfin più vecchia di lui d’una quindicina d’anni, e stata già moglie d’un correggitore a Portogruaro. — Io me ne sovvenni, la ricordai alla Pisana, e ne ridemmo assieme.

Il fratello invece avea brigato un posto nel nuovo governo, perchè altrimenti non sapeva come vivere, essendosi per la morte dei genitori perduto ogni loro patrimonio. Lo avevano fatto controllore di dogana, ed egli n’era umiliato, il fervido repubblicano. Peraltro pensava di riguadagnar la partita con un buon matrimonio; e c’era qualche maneggio con quella donzella Contarini che mio padre avea voluto affibbiarmi col pretesto della dote e del futuro dogado. La Contessa di Fratta, come zia, batteva l’acciarino: ma più che l’affetto pel nipote la lusingava la speranza d’una ricca senseria, perchè la sua passione pel gioco continuava sempre, e il patrimonio della famiglia calava