Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/317

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capitolo decimottavo. 309

certo, senza famiglia, senza patria, sulla terra stessa della patria! — Poichè chi poteva assicurare che una patria concessa dal capriccio del conquistatore, dal capriccio stesso non ci sarebbe ritolta?... Già in Francia si cominciava a bisbigliare d’un nuovo ordinamento di governo; e s’accorgevano che il consolato non era una sedia curule, ma un gradino a soglio più eccelso. Bruto era omai escluso dall’agone ove noi andavamo giostrando alla cieca, senza sapere qual sarebbe il premio di tanti tornei. Almeno avea ritrovato il focolare paterno, il nido della sua infanzia, una sorella da amare e da proteggere! Il suo destino gli stava scritto dinanzi agli occhi, non glorioso forse nè grande, ma tranquillo, ricco di affetti e sicuro. Le sue speranze avrebbero sciolto il volo dietro alle nostre, o sarebbero cadute con esse, senza il rimorso di aver oziato per infingardaggine, senza lo sconforto di aver faticato indarno ad inseguire un fantasma.

Così io veniva invidiando la sorte d’un giovine soldato, che tornava al suo paese storpio d’una gamba, e invece delle braccia di suo padre in cui gettarsi, non trovava che una fossa da irrigare di pianto. Pure io non era de’ più sfortunati. Moderato di voglie, di speranze, di passioni, quando i miei mezzi privati cominciavano a mancarmi, il soccorso pubblico mi era venuto incontro. Senza protezioni, senza brogli, in paese forestiero, ottenere a ventisei anni un posto di Segretario in un ramo così importante e nuovo della pubblica amministrazione, com’erano allora le finanze, non fu piccola nè spregevole fortuna: e non me ne contentava. Tutti mi verranno addosso con baje e con rimbrotti. Ma io lo confesso senza vergognarmene: ebbi sempre gli istinti quieti della lumaca, ogniqualvolta il turbine non mi portò via con sè. Fare, lavorare, sgobbare mi piaceva per prepararmi una famiglia una patria una felicità; quando poi questa meta della mia