Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/320

Da Wikisource.
312 le confessioni d’un ottuagenario.

Io risposi, scrollando le spalle, che ella invece a mio credere andava a caccia tutto il giorno de’ più strani pretesti per rincrescermi, e che mi doveva anzi esser grata dell’esser stato il primo a proporle un viaggio, a me per ogni conto spiacevole ed incommodo. Infatti, lasciando andare la solitudine nella quale restava, a quel tempo si stentava anche non poco in punto a quattrini. A me piacque sempre il ben vivere, la Pisana non ha mai saputo far un conto in sua vita, e non s’è presa mai il benchè menomo pensiero nè della sua borsa nè di quella degli altri: insomma si spendeva a tutto andare ed anche si piantava qua e là per le botteghe qualche piccolo chiodarello. Tuttavia la voleva bisticciare con me e ci riescì. Non ho mai capito questo talento di martoriarmi, appunto allora ch’eravamo in procinto di dividerci, col gran bene che la mi voleva; perchè vi assicuro io che si sarebbe fatta a pezzi per me. Io m’immagino che il dispiacere di doversene andare le guastasse l’umore, e che colla sua solita sventatezza se ne sfogasse addosso a me. Qualche volta le venivano rossi gli occhi, mi veniva dietro per casa come una ragazzina dietro la mamma; e s’io poi le volgeva uno sguardo amorevole una parola di conforto, s’oscurava in viso come l’ora di notte, e si volgeva da un altro canto facendo forza di non badare a me. Insomma le vi parranno le solite ragazzate; ma bisogna ch’io ve le racconti per dimostrare il continuo sospetto in che io vissi dell’animo della Pisana inverso di me, ed anche perchè la sua indole fu così straordinaria che merita una storia apposita.

Adunque pochi giorni dopo, raggranellati i denari occorrenti al viaggio, io la condussi in calesse fino a Pontelagoscuro, e di colà in barca si avviò per Venezia. Quello, cioè il Po, era il confine fra le provincie venete occupate dai Tedeschi e la Repubblica Cisalpina; nè io poteva accompagnarla oltre. Pertanto in capo ad una setti-