Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/321

Da Wikisource.

capitolo decimottavo. 313

mana ebbi notizia da lei che sua madre era affatto fuori di pericolo, ma che la convalescenza vorrebbe essere un po’ lunga, e che perciò ci rassegnassimo a una separazione di qualche mese. Ciò mi diede noja non poco, ma in vista delle altre buone notizie che mi dava cercai consolarmene. L’Aglaura e Spiro vivevano in perfetta concordia con due bambinelli ch’era una delizia a vederli; i negozii loro prosperavano viemmeglio, e ci si profferivano a me ed a lei in ogni cosa che ne potesse occorrere. Il conte suo fratello, in onta alla freddezza della lettera, l’avea poi trattata con ogni amorevolezza; un’altra novità c’era che poteva convenire non poco ad ambedue. Sua Eccellenza Navagero, colpito da una paralisi generale e da completa imbecillità, giaceva in letto da un mese: ella mi comunicava le tristi condizioni del marito colle parole più compassionevoli del mondo, ma la cura presa di descriverle appunto tristissime e disperate, dinotava una facile rassegnazione all’ultimo colpo che si aspettava di giorno in giorno. Perciò io mi adattai con minor uggia al mio isolamento; e mi cacciai intanto a tutt’uomo nelle cure d’ufficio per sentirne meno i fastidi.

In quella s’era adunata la Consulta di Lione pel riordinamento della Cisalpina, la quale ne uscì col battesimo d’italiana, ma riordinata per bene, cioè secondo i nuovi disegni di Bonaparte primo console, che ne fu eletto Presidente per dieci anni. Il Vice–presidente, che ebbe poi a governare in persona, fu Francesco Melzi, uomo invero liberale e di sentimenti grandi e patriottici, ma che per la sua magnificenza e per la nobiltà dell’origine, non collimava coi gusti dei democratici più ardenti. Lucilio mi avvisò da Milano di cotali mutamenti, e con una certa livida rabbia che mi diceva assai più che non osasse scrivere: certo egli s’aspettava che io rinunziassi al mio posto e che rifiutassi di servire un governo dal quale erasi al-