Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/337

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capitolo decimonono. 329

d’Arcole e di Rivoli; per diana, che non avrei dato il Caporalino per Sua Maestà. Vedendolo partire fra un popolo accalcato e plaudente, io mi ricordo di aver pianto di rabbia. Ma erano lagrime generose, delle quali vado superbo. Pensava fra me: — Oh che non farei io se fossi in quell’uomo! — e questo pensiero e l’idea delle grandi cose che avrei operato, mi commovevano tanto. Infatti era egli allora all’apice della sua potenza. Tornava dall’aver fatto rintronare de’ suoi ruggiti le caverne d’Albione attraverso l’angusto canale della Manica; e minacciare dell’artiglio onnipotente le cervici di due imperatori. La gioventù del genio di Cesare, e la maturità del senno di Augusto, cospiravano ad innalzare la sua fortuna fuor d’ogni umana immaginazione. Era proprio il nuovo Carlomagno, e sapeva di esserlo. Ma anch’io dal mio canto inorgogliva di passargli dinanzi senza piegare il ginocchio. «Sei un gigante ma non un Dio! — gli diceva — io ti ho misurato, e trovai la mia fede più grande di molto e più eccelsa di te!» Per un uomo che credeva d’aver in tasca uno scudo e non aveva neppur quello, ciò non era poco.

Il bello si fu quando si trattò di mangiare; credo che uomo al mondo non si vide mai in peggior imbroglio. Partendo da Bologna e giovandomi della discretezza d’alcuni amici, avea fatto denari d’ogni spillone, d’ogni anello e d’ogni altra cosa che non mi fosse strettamente necessaria. Tuttavia facendo un nuovo inventario seppi trovare molti capi di vestiario che mi sopravanzavano; ne feci un fardello, li portai dal rigattiere, e intascai quattro scudi che mi parvero un milione. Ma l’illusione non durò più che una settimana. Allora cominciai a dare il dente anche negli oggetti bisognevoli; camicie, scarpe, collarini, vestiti, tutto viaggiava dal rigattiere; avevamo fatto tra noi una specie di amicizia. La sua bottega era sul canto della contrada dei Tre Re verso la Posta; io mi vi fermava a