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352 le confessioni d’un ottuagenario.

Caduti in tanto abbattimento, le carezze degli altri uomini, per quanto maligne e interessate, ci trovano le molte volte deboli e credenzoni. Godiamo quasi di poter dire ai buoni; Guardate che i tristi sono migliori di voi! — Fanciullesca vendetta, che volge in nostro danno perpetuo la gioja puerile d’un momento. Gli Ormenta padre e figlio raddoppiarono verso di me di premure e di cortesie; convien dire ch’io avessi qualche grazia presso di loro, o che la setta fosse tanto immiserita che non si badasse più a fatica ed a spesa per guadagnare un neofito. Mi circondarono con loro adescatori, misero sotto mezzani e sensali; io rimasi incrollabile. Nullo sì, ma per essi no. Moriva per l’ingiustizia degli amici miei, ma non avrei mai acconsentito a volger contro di essi la punta d’un dito; dietro quegli amici ingannati ed ingiusti era la giustizia eterna che non manca mai, che mai non inganna, nè rimane ingannata.

Questo pensiero di resistenza brulicandomi entro, mi ridonò un’ombra di coraggio e un filo di forza. Guardai dietro a me per vedere se veramente l’abbandono di tutti, la perfidia dell’amore, i mancamenti dell’amicizia mi lasciavano così nullo e impotente com’io credeva. Allora risorsero alla mia memoria come in un baleno tutti gli ideali piaceri, tutte le robuste fatiche, e i volontari dolori della mia giovinezza: vidi raccendersi quella fiaccola della fede che m’avea guidato, sicuro per tanti anni ad un fine lontano sì, ma giusto ed immanchevole: vidi un sentiero seminato di spine, ma consolato dagli splendori del cielo e dalla brezza confortativa delle speranze che scavalcava, aereo e diritto come un raggio di luce, l’abisso della morte, e saliva e saliva per perdersi in un sole, che è il sole dell’intelligenza e l’anima ordinatrice dell’universo. Allora la mia idea diventò entusiasmo, la mia debolezza forza, la mia solitudine immensità. Sentii che l’opinione altrui