Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/361

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capitolo decimonono. 353

valeva nulla contro l’usbergo della mia coscienza, e che in questa sola s’accumulava la maggior somma dei castighi e delle ricompense. Il mondo ha migliaja di occhi, di orecchi, di lingue; la coscienza sola ha la virtù, il coraggio, la fede.

Mi rizzai uomo davvero. E dalla rocca inespugnabile di questa mia coscienza, guardai alteramente tutti coloro di cui con tanto dolore avea sofferto il muto disprezzo. Pensai a Lucilio e per la prima volta ebbi il coraggio di dirgli in cuor mio: — Profeta, hai sbagliato! Sapiente, avesti torto! — Quanta confidenza, quanta beatitudine mi venisse da questo coraggio, coloro soltanto possono saperlo che provarono le gioje sublimi dell’innocenza in mezzo alla persecuzione. Più di ogni altra cosa, può giovare a ritemprarmi l’animo la fiducia in quell’istinto retto e generoso, che misero, avvilito, boccheggiante, pur m’avea fatto sprezzare le lusinghe dei tristi e degli impostori. Il debole che piange e si dispera d’esser trascinato al patibolo, e pur non consente a guadagnarsi la grazia col tradire i compagni, quello secondo me è più ammirabile del forte, che col sorriso sulle labbra si abbandona alle mani del boja. Tremate, ma vincete: questo è il comando che può intimarsi anche ai pusillanimi; tremare è del corpo; vincere è dell’anima che incurva il corpo sotto la verga onnipotente della volontà. Tremate, ma vincete. Dopo due vittorie non tremerete più: e guarderete senza batter ciglio lo scrosciar della folgore.

Così feci io. Tremai lungamente: piansi ancora mio malgrado degli amici che m’avevano abbandonato; mi straziai il petto coll’ugne, e sentii il cuore battere precipitoso come impaziente di arrivar alla fine delle sue fatiche, mi disperai dell’amor mio, che dopo mille lusinghe, dopo avermi aggirato scherzevole e leggiero pei giardini fioriti e per le balze capricciose della giovinezza, mi lasciava